Posti in piedi in paradiso, l’ultima fatica cinematografica di Carlo Verdone, è un autentico trionfo ai botteghini. La dimostrazione che, dopo oltre trent’anni di carriera, questo pacioso signore è ancora un artista che sa fare centro. A onor del vero, a inizio millennio ebbe il suo momento di crisi d’ispirazione, ma fu proprio il suo ispiratore Alberto Sordi a suggerirgli le dritte giuste per rialzarsi.Durante l’ultimo loro incontro, a cena in un ristorante romano, Sordi gli consigliò di non insistere nel raccontare i ‘mostri’ italiani. Il motivo? Perché l’Italia ormai è diventato un paese di mostri, perciò è inutile continuare a rappresentarli al cinema. Basta affacciarsi alla finestra. Fatto tesoro dei consigli amichevoli del Maestro, da allora Verdone ha imbroccato un successo dietro l’altro. Fino a quest’ultimo film ora nelle sale, che in poche settimane ha raggranellato già la cifra-record di nove milioni di euro d’incassi.
Le ragioni di questo successo sono tante, ma il motivo principale è che Verdone è un artista dalle antenne sensibilissime: superato il giro di boa dei 60 anni, è ancora capace di catturare lo spirito dei tempi, e restituirlo in pellicole che scivolano via, senza permettere allo spettatore di annoiarsi nemmeno un minuto. Quando Verdone racconta gli sfigati della generazione di mezzo, è il numero uno, non ce n’è davvero per nessun altro. Questa volta gli sfigati sono tre uomini che appartengono alla categoria dei ‘poveri di ritorno’. Un tempo erano benestanti, e soddisfatti sia sul fronte privato che professionale. Poi è successo qualcosa, la macchina a un certo punto si è inceppata. Questi cinquantenni, sia perché affezionati al ruolo di eterni bamboccioni, sia perché effettivamente la vita è diventata più difficile per tutti, fatto sta che sono degli irrealizzati da manuale. Il problema è che sono pure abbastanza sensibili da soffrire per questa loro condizione, e la malinconia riga il loro volto di giovanotti piuttosto attempati.
Questi tre signori hanno il volto di tre bravissimi attori: Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino e Marco Giallini. Il cinema italiano moderno viene spesso accusato, e a ragione, di non graffiare più come una volta, di non essere più in grado di rappresentare con sincerità le nuove realtà sociali che si affacciano. Ebbene, Posti in piedi in paradiso colma una lacuna notevole: per la prima volta, una commedia che mette in scena l’italiano di mezza età: un italiano che, papale papale, non riesce più ad arrivare alla fine del mese. Un’odissea quotidiana fatta di bollette, assegni familiari, usurai che bussano violentemente alla porta, e la ricerca di una casa normale in cui vivere. E si parla di una casa normale, mica di una reggia. Ebbene, questo italiano medio non riesce più ad avere la serenità per mettere mano al portafogli, e cacciare fuori 500 euro per un affitto. Questo particolare, che nel 2012 ci sia qualcuno, in Italia, incapace di assicurarsi un tetto comodo in cui vivere, ha colpito la sensibilità dell’autore Verdone. Una storia di ordinaria follia, raccontata da un artista che da sempre prende spunto dalla realtà, per imbastirci sopra delle commedie divertenti.
Il consiglio di Sordi ha fatto breccia: basta coi mostri, è arrivato il momento di raccontare un’umanità normale: la media borghesia, o quella che un tempo si chiamava media borghesia, si è trasformata in una categoria di morti di fame, questa è la triste verità. Altro che mostri, questi sono solo dei poveri diavoli, e vanno raccontati col rispetto, e la solidarietà umana che non si nega a un disgraziato. Ci voleva un artista intelligente per descrivere questo drammatico fenomeno; ci voleva uno che, ancora capace di indignarsi di fronte alle ingiustizie, riuscisse però a convertire l’indignazione in materiale da commedia. Ci voleva, insomma, Carlo Verdone. Un Verdone in splendida forma, che non fa rimpiangere i fasti di Compagni di scuola e Maledetto il giorno che t’ho incontrato. Un Verdone che, volendo, avrebbe potuto pigiare sul pedale del cinismo, e magari il successo del film sarebbe stato perfino maggiore. Invece no: essendo un uomo dotato di enorme sensibilità, non se l’è proprio sentita di affondare il coltello nella piaga di questi poveri cristi del terzo millennio. Momenti di comicità ce ne sono tanti, e impreziosiscono i 120 minuti del film. Ma quello che prevale è un sentimento di tenerezza, di incoraggiamento. Una pacca sulla spalla a questi ex baby boomers, che amano sì la vita, ma le esperienze della vita li hanno fatti scivolare nel disincanto. Un disincanto che però si può superare, proprio nell’osservare la vitalità e la maturità dei loro figli. C’è un messaggio, in questo film riuscitissimo. Il messaggio è che vale la pena di appoggiare e ascoltare i ragazzi di oggi, insicuri ma in molti casi pieni di consigli assennati. Verdone buonista, dunque? E se anche fosse, che male ci sarebbe. In questa Italia così disillusa sul futuro, non vale forse la pena di re-investire qualche cent sul buonismo, come motore per la ricostruzione?
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