Quante cose accaddero in Umbria in quei nove mesi , dall’ottobre 1943 al giugno 1944.
Cose dure da dimenticare, difficili da digerire anche se sepolte dalla storia ufficiale, più interessata ai grandi eventi, in misura spesso generalizzata, nel tentativo di fornire un quadro totale del passato.
Eppure quelle vicende umane, perché di episodi umani si parla, tornano a colpire, come frustate, la memoria dei vivi, presi dal tam tam della quotidianità, assorti nei propri pensieri e nei propri problemi.
Colle Bertone, Polino. Una località montana, come tante ce ne sono nel centro Italia, in regioni quali Umbria, Lazio, Marche e Abruzzo. Località immerse nella natura, lontane dal traffico; piccoli angoli di paradiso alla portata di chiunque voglia per un giorno immergersi tra semplicità della gente e nel silenzio di borghi medievali.
E’ l’inverno del 1944. L’Italia è preda di una guerra dura e sanguinaria. Tra due eserciti che si fronteggiano trasformando le città della Penisola in campi di battaglia, si consuma un conflitto civile, aggravato non solo dall’opposizione politica ma da tanti piccoli fattori della sfera personale e domestica, ingigantiti dal clima d’odio, che trovano libero sfogo nel crepitare delle mitragliatrici.
Gli italiani non hanno mai provato la guerra civile, semmai vi hanno assistito in Spagna quando, insieme ai tedeschi, sono stati protagonisti e spettatori di un paese diviso, che saldava vecchi conti con accuse, sospetti e vilipendi che bastavano a garantire ad un povero disgraziato una fine tra le più dolorose.
Polino non è certo territorio neutrale. Tra il gennaio e l’aprile del 1944 sono tre gli omicidi commessi contro civili inermi. Inoltre, due donne, dopo un rapimento, vengono addirittura violentate.
Roberto Vissani ed Erinna Candidi sono giovani sposi, ambedue sotto i trenta. Un commando partigiano operante in zona Polino li cattura e li tiene per alcuni giorni segregati. Le accuse, come verrà dimostrato dopo la guerra, riguardano faccende veniali, lontane da ogni possibile coinvolgimento della coppia: ripicche personali, non contemplate dalla giustizia, nemmeno da quella marziale. Ciò non salva, tuttavia, Erinna dalla violenza sessuale, cui il marito non riesce ad opporsi.
Peggio va a Caterina Petrucci, 22 anni, che dopo lo stupro viene anche assassinata. Il cadavere non verrà mai ritrovato.
La responsabilità del crimine è della stessa unità che porta via con la forza i coniugi Vissani, ovvero una formazione politicamente molto inquadrata e guidata da ex prigionieri di guerra slavi, fuggiti dopo l’8 Settembre dal carcere di Spoleto.
Polino soffre ancora della perdita del giovane Francesco Conti e del podestà locale Carlo Orsini, fucilati sulla pubblica piazza, quando la Petrucci e la Candidi vengono stuprate.
Un’infamia, soprattutto perché condotta contro due giovani indifese, con familiari impotenti e incapaci di reazione, in un periodo in cui la legge spesso latitava e tutto sembrava essere permesso.
Le colpe dello scontro tra partigiani e fascisti finivano per ricadere su persone estranee alla guerra civile, scambiate per spie o ree di aver negato uno sguardo o un’attenzione ad un combattente di questo o dell’altro schieramento.
Le grandi operazioni di polizia compiute da SS e Guardia Nazionale Repubblicana contro i resistenti finirono, nell’Umbria di allora, per abbattersi sulla popolazione, già stremata da una guerra lunga quattro anni. I paesani della Valnerina pagarono a caro prezzo azioni di piccole bande, male armate e quindi impossibilitate a difendere i civili dalle conseguenze dei loro gesti.
Al danno si aggiunge la beffa, verrebbe da dire. Eppure no, perché a 67 anni da quei terribili giorni del ’44 la pagina della riconciliazione e del riconoscimento di errori, imprudenze e ostilità gratuite è ancora tutta da scrivere.
L’11 Settembre scorso l’ANPI ternano ha posto una stele a Colle Bertone recante la scritta: In memoria dei partigiani della Brigata Antonio Gramsci, zona di operazioni partigiane 1943 – 1944”.
Recenti ricerche, documentate da materiali di archivi italiani, tedeschi e inglesi (cfr. ad esempio Marcello Marcellini, Un odio inestinguibile, ed. Mursia, 2009), ridimensionano molto il ruolo avuto dalla Gramsci e dai suoi uomini nella lotta di liberazione della regione: scarsi collegamenti, difficoltà logistiche, impreparazione militare avrebbero gravato su un’unità che, per entrare a Terni, dovrà aspettare l’arrivo degli indiani dell’ VIII Armata britannica.
E poi le storie di sangue e di sopraffazione ai danni di innocenti, le cui famiglie non hanno ancora ottenuto giustizia.
Nemmeno una parola da parte dell’ANPI durante l’inaugurazione della stele sugli errori e gli orrori del passato.
Non ci sono errori; non ci sono stati errori; e non ci saranno errori pare abbia sentenziato il Duca di Wellington. Il fatto è che nell’ammissione di colpa non c’è nulla di male. Esso è un gesto semplice, che conta più di cento altre parole sulla pacificazione e sulla concordia. Si isolano così, da un fenomeno ben più ampio e articolato come la resistenza, le persone oneste ed in buona fede da chi si appropriò di un ruolo per semplice e puro profitto personale; in più, l’ammissione di colpe passate è un gesto di maturità e di superamento di una cesura storica e umana che dura ormai da troppo tempo.
Spendere una parola per Erinna e per Caterina sarebbe stato riconosciuto da più parti (ed in tutta serenità) come un atto di profonda e sincera umanità.
Marco Petrelli
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