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Terni. Tra kebab ed Hezbollah

Perdonate l’ironia ma, d’ora in poi, ogniqualvolta un ternano metterà piede in un Doner Kebab ripenserà a quanto successo nella mattinata di oggi. Terni è un centro industriale di una certa importanza. Un’acciaieria con oltre cento anni di attività alle spalle, aziende chimiche, una centrale idroelettrica tra le prime dell’Italia unita. Certo negli ultimi anni la crisi economica e la disoccupazione l’hanno fatta da padrone, con molti posti di lavoro persi e piccola/media impresa in difficoltà.

Difficoltà che non hanno però ostacolato i molti immigrati asiatici e dell’Est Europa giunti e stabilitisi in città tra la metà deli Anni Novanta e oggi.

Le occupazioni dei migranti a Terni sono tra le più varie; pakistani, cinesi e mediorientali hanno puntato sul commercio, dall’abbigliamento alla ristorazione, quest’ultima diffusa grazie ad un certo apprezzamento degli occidentali per la cucina etnica e, soprattutto, per prezzi di gran lunga più abbordabili rispetto ad un nostrano ristorante.

Dopo i ristoranti cinesi, per un decennio meta fissa del fine settimana per giovani e adulti in cerca di serate nel segno dell’alternativa, a metà dei Duemila compaiono i ‘kebabbari’ che propongono piatti di tradizione turca e palestinese, veloci, economici, abbondanti.

Intorno ai punti vendita operano intere comunità, un po’ come accadeva negli Stati Uniti con i ristoranti italiani o i kosher restaurant . Accanto al duro lavoro di immigrati onesti e desiderosi di inserirsi ed integrarsi nella nuova società, non mancano fanatici e disonesti che all’attività commerciale preferiscono la via del crimine.

A Terni un gruppo di turchi ha tessuto una rete di traffico di clandestini estesa tra Umbria, Lazio e Lombardia. Trenta le persone giunte illegalmente nel nostro Paese e che, secondo triste copione, hanno sborsato ingenti somme di denaro. Un all inclusive , così lo hanno definito gli inquirenti, poiché il denaro versato avrebbe coperto viaggio, alloggio ed inserimento. Poi, per ‘gabbare’ le autorità, i clandestini sarebbero stai convinti a dichiarare d’aver subito torture e violenze nei paesi d’origine. 

Il denaro raccolto, tuttavia, non era destinato a finanziare la criminalità comune, bensì l’attività terroristica. Uno degli arrestati, un cittadino turco, è membro diuna cellula Hezbollah operante in Turchia. 

Non si comprende ancora quale sia il legame tra i turchi e i libanesi, ma soprattutto il dilemma è cosa abbiano a che spartire gli sciiti di Hezbollah (partito nato in Libano nel 1982 con il fine di combattere l’occupazione israeliana) con elementi di credo sunnita, desiderosi di fondare in Turchia una Repubblica islamica fondata sull’osservanza della sharia.

Marco Petrelli

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