Luca Telese è ormai diventato un volto familiare per tutti gli italiani. E’ riuscito a conquistarsi un’autorevolezza nel campo giornalistico, ma solo dopo anni e anni di gavetta, in cui ha dovuto lottare con le unghie e con i denti per trovare un suo spazio.
Ora che è arrivato ad essere un conduttore di successo, con In onda su La 7, e una firma di punta nel fenomeno editoriale Il fatto quotidiano, ha deciso di raccontare frammenti importanti della sua storia, nel libro Gioventu’, amore e rabbia (il titolo è tratto da un film-cult di Tony Richardson, datato 1962).
Non è certo il narcisismo che lo ha mosso in questa sua ultima fatica saggistica. «Ho sentito l’esigenza di scrivere questo saggio per raccontare una generazione che non trova abbastanza coraggio per incazzarsi. Questo saggio vuole essere uno sprone, una botta di vitalità per tutti coloro che, in età troppo giovane, stanno perdendo ogni speranza». La storia di Telese è una storia a lieto fine, e ce l’ha fatta solo e soltanto ricorrendo alla sua bravura, e alla sua testardaggine. La stima di cui gode non è stato certo un regalo delle cicogne: è sufficiente leggere un pò il suo curriculum, per scoprire che il suo talento poliedrico lo ha portato addirittura a fare il comico, in un programma di Chiambretti (era Telesio, il figlio nerd di Chiambretti, nel programma Chiambretti c’è). «Quando ho cominciato questo mestiere, piu’ di vent’anni fa, era ancora un impiego prestigioso. Ora sempre più spesso sento storie di ragazzi che vanno avanti con pezzi a quattro euro l’ora. C’è una volontà meditata, da parte della generazione dei baby boomers, di tarpare le ali ai propri figli. Questi genitori nati negli anni ’60 vogliono eliminare il conflitto, normale e fisiologico, tra padri e figli: a parole si dichiarano loro amici, ma poi nei fatti, fanno di tutto per evitare il ricambio generazionale nei posti di lavoro». Ma la sua biografia, la sua storia personale è solo un pretesto iniziale per raccontare, nelle pagine successive del libro, storie di uomini che non hanno mai mollato, a costo di rimetterci la pelle. Ci sono, tra le pagine del saggio, gli operai della Vinyls, che reagiscono alla cassa integrazione con le armi della creatività; c’è l’operaia di Mirafiori, e il suo coraggio di gridare NO, al referendum-ricatto di Marchionne; ci sono i giovani che hanno animato la stagione, breve ma ribollente di passione, del popolo Viola. Una manifestazione, quella del dicembre 2009, che poteva essere il prodromo di una meravigliosa rivoluzione pacifica. Tutto il contrario di quel che è accaduto nell’ottobre 2011: le violenze dei Black Block hanno preso il sopravvento, rovinando non solo la giornata, ma anche le ambizioni pacifiste della maggioranza del corteo. Il consiglio che l’autore dà alle nuove generazioni è di proseguire sulla strada propositiva del popolo Viola. I mezzi per cambiare questo Paese ci sono, è sufficiente una buona iniezione di coraggio, di passione: «Posso dire, obiettivamente, che le nuove generazioni hanno delle doti che la mia nemmeno si sognava. E’ una generazione multitasking, di nativi digitali. Se questa loro capacità di maneggiare abilmente le nuove tecnologie, verrà utilizzata anche per portare a maturazione un nuovo progetto politico, allora potranno dire di aver vinto la loro battaglia».
Buona parte del libro è dedicata alla ‘passionaccia’ dell’autore per il giornalismo. A cominciare da Amerigo Vespucci -che secondo Telese sarebbe il primo giornalista moderno, per l’enorme curiosità e tolleranza con cui raccontava gli indigeni americani nei suoi scritti (a differenza di Colombo, che rappresenta invece il bigottismo medievale)- fino alla fantasia di Montanelli, questo libro è anche una dichiarazione d’amore al mestiere di giornalista, e un invito ai giovanissimi a intraprendere questa strada, se nelle loro vene scorre davvero il fuoco della scrittura.
Di certo, sono parole di Telese, le scuole di giornalismo non forniscono gli strumenti adatti ad imparare sul serio questo mestiere: «devo dire che nei confronti delle scuole di giornalismo ho un’opinione assolutamente negativa. Le considero autentiche agenzie di caporalato, e trovo allucinanti i costi che un giovane deve sobbarcarsi per poi diventare giornalista». La schiettezza, se accompagnata da una riflessione meditata come in questo caso, è una virtù da apprezzare.
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