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SIRIA: SULL’ORLO DELLA GUERRA CIVILE

 Il 16 Febbraio il presidente siriano Bashar al-Assad ha dichiarato di voler indire un referendum costituzionale, che metterebbe fine a 50 anni di regime monopartitico. Una dichiarazione vuota e ipocrita, annullata dal suono dei bombardamenti sulla città di Homs e accompagnata dal lamento funebre di un intero paese in lutto.

Dall’inizio della rivoluzione, il governo dittatoriale di Assad ha massacrato oltre 7.000 civili, fra cui circa 500 bambini e 460 donne. Il sollevamento popolare, ispirato dalle rivolte della ‘primavera araba’ in Nord Africa e Medio Oriente, è iniziato nel Marzo 2011 nella città di Dara’a. I manifestanti chiedono elezioni democratiche, libertà d’espressione, il rilascio dei prigionieri politici e le dimissioni di Assad. La risposta a queste richieste finora è stata solo una: la violenta repressione delle proteste. Sparatorie sulla folla inerme, torture, retate e imprigionamenti arbitrari sono ormai all’ordine del giorno.

Un’attivista siro-americana, ora residente in UK, descrive la tragica escalation di violenze ad Homs, una delle città più colpite dai bombardamenti: “Da settimane la gente sta morendo di fame. I rifornimenti di cibo ed acqua sono bloccati, e negli ospedali stanno terminando i medicinali di base. È una vera e propria crisi umanitaria, un massacro.”

I soldati delle truppe governative non si fermano di fronte a nulla. Lo scorso sabato hanno aperto il fuoco su un corteo funebre che sfilava nelle strade di Damasco e lanciato gas lacrimogeni per disperdere la folla. Almeno uno degli attivisti è rimasto ucciso negli scontri e una decina sono stati feriti.

Il bilancio delle vittime cresce di giorno in giorno, e aumenta anche il numero delle persone scomparse. Secondo i dati degli attivisti oltre 65.000 persone mancano all’appello e sono probabilmente nelle mani di aguzzini nelle prigioni siriane.

Susan, una giovane siriana che ora vive a Cardiff (UK), commenta con apprensione la situazione nel suo paese: “Ho amici e familiari in Siria e sono davvero preoccupata per loro. Quando riesco a chiamarli non possiamo mai parlare di ciò che sta succedendo, perché temono che qualcuno possa intercettare la telefonata. E parlar male del governo vuol dire rischiare di essere torturati o mettere a rischio i propri familiari.”

“Comunicare per telefono in Siria è sempre più difficile,” aggiunge un’altra attivista. “Ad Homs le linee sono interrotte, manca spesso l’elettricità e gli attivisti stanno utilizzando piccioni viaggiatori per scambiarsi messaggi tra di loro.”

Per timore di ritorsioni e bombardamenti, oltre 20.00 siriani sono scappati all’estero e si sono rifugiati in Turchia, Libano e Giordania.  

La situazione in Siria continua a peggiorare, ma la risposta della comunità internazionale continua ad essere limitata e inefficace. La Siria è una pedina cruciale nello scacchiere del Medio Oriente, e le potenze straniere hanno atteso parecchi mesi prima di decidere che mossa compiere. E, per eccesso di cautela, quali non compiere.

“L’ONU, l’Unione Europea e gli Stati Uniti potrebbero fare molto di più se volessero,” dice l’attivista siro-americana. “Per loro è facile dichiarare che il massacro in Siria è inaccettabile, ma alla fin fine il popolo siriano è stato abbandonato al suo destino, e dobbiamo contare solo sulle nostre forze.”

La Lega Araba, ad esempio, ha aspettato sino a Novembre prima di condannare la violenza della repressione governativa e mandare i suoi osservatori in Siria, con l’obbiettivo di monitorare la situazione e fermare le violenze. Di fronte al proseguire della repressione nonostante i ripetuti ammonimenti, la Lega Araba ha deciso di sospendere la Siria e di imporre sanzioni economiche.

Anche l’ONU ha cercato di sanzionare la Siria, ma le sue risoluzioni sono state ripetutamente bloccate dal veto di Russia e Cina. I due paesi hanno affermato di non voler intervenire nella questione siriana perché qualsiasi intervento equivarrebbe a mettere in discussione il principio di sovranità territoriale. Più realisticamente, la Russia e la Cina temono di perdere un prezioso alleato economico e un insostituibile mercato per la vendita di armi.

Ulteriori preoccupazioni riguardano l’appoggio dato ai ribelli siriani da gruppi estremisti come Hazbollah ed Hamas, che hanno numerose roccaforti nel confinante Libano, e dagli sciiti iraniani. Anche in conseguenza di questi rischiosi collegamenti, l’intervento militare in Siria è un’opzione esclusa dalla comunità internazionale.

Gli attivisti siriani son ben felici di non aver visto il loro paese invaso da truppe straniere, come invece è accaduto in Libia. Il problema, però, sta nel fatto che sono stati esclusi anche aiuti che sarebbero stati fondamentali per supportare la causa siriana, come una maggiore pressione politico-economica sul governo di Assad o la creazione di corridoi umanitari per aiutare la popolazione civile.

Anche nel caso di un rovesciamento governativo, per la Siria si prospettano dunque tempi difficili. Il paese rischia infatti di precipitare in una guerra civile, con scontri tra i diversi gruppi etnici presenti.  La minoranza degli Alawiti, a cui appartiene la famiglia di Assad, costituisce solo il 15 % della popolazione siriana ma occupa tutte le posizioni più importanti nel settore economico, politico e militare. Non sarà dunque facile per gli altri gruppi erodere il suo monopolio e ottenere una reale partecipazione democratica. 

“La transizione post-Assad sarà sicuramente complessa,” dice Susan. “Ci vorrà del tempo prima che i partiti dell’opposizione si organizzino e riescano a portare avanti delle elezioni democratiche. Ma per ora non voglio pensarci. L’unica cosa importante in questo momento è la fine dei bombardamenti.”

Lorena Cotza

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