Press "Enter" to skip to content

Le tre pietre di Sciola spariscono sotto la vernice

 Sin da quando ero piccola, le Tre Pietre che svettavano in Piazza Repubblica a Cagliari mi avevano affascinata. Mi richiamavano alla mente una torre magica e misteriosa, parte di un paesaggio fantastico. Ogni volta che le guardavo, immaginavo quelle sagome stagliarsi in uno scenario più ampio, più immenso, e spariva la città tutta intorno. Le consideravo come una fotografia, il frammento di un mondo a parte, e capivo che avevamo avuto il privilegio di poter sbirciare dentro quel mondo, quasi si trattasse di un “buco della serratura” gigante. Senza ancora conoscere la saga di Clive Steples Lewis, sentivo di aver trovato il “mio” armadio, come Lucy Pevensie. Era una sensazione insolita e speciale, profonda e intima. Avevo anche un leggero timore, una piccola paura, perché le cose smisurate, grandi, tanto più enormi di noi ci fanno sempre paura, soprattutto quando sei piccolo. Ma la curiosità vinceva, vinceva l’immaginazione, il bisogno forte di credere in un mondo che non fosse fatto di palazzi impersonali e di cemento, un mondo diverso rispetto a quello che avevo intorno. Per un bambino che ha sempre vissuto in città, l’urgenza di vedere universi fantastici è troppo forte e ogni stimolo esterno viene raccolto con avidità e usato per evadere, e volare via.

Quando ho saputo che quella finestra dipinta era stata distrutta, qualche giorno fa, distrutta brutalmente, ho sofferto tantissimo. Gli amministratori della palazzina che aveva l’immensa fortuna di ospitare le Tre Pietre, hanno ritenuto opportuno distruggerle perché “il palazzo aveva bisogno di ristrutturazioni”. E così quel mondo, quel ritaglio di mondo, poteva anche sparire sotto la vernice. Che solerzia quando si tratta di distruggere, di sopprimere. Che incapacità unica di apprezzare le cose belle, di provare sensibilità, anzi di “sentire” qualcosa. Pinuccio Sciola, che quelle pietre prima di crearle doveva averle viste davvero in un “mondo a parte”, quando gli è stata comunicata la felice novità, ha detto innanzitutto sei parole: “Tanto non è la prima volta”. Non è la prima volta. Non è la prima volta che si annienta, si elimina. Non è la prima volta che nella nostra Isola, la “bella Sardegna, la Splendida Sardegna, la Sardegna che tutti invidiano, la Sardegna dalla grande, grande CULTURA, dalle tradizioni arcaiche” si tira un bel calcio alla cultura, alla tradizione, all’arte e a chi l’arte la crea, a chi dell’arte vive e PER essa vive. “L’ho saputo come quando si legge il necrologio di un amico sui giornali, una morte inaspettata che ti lascia triste e un po’ sbigottito”, le parole di Sciola sembrano figlie di un’amarezza ormai radicata nel tempo e dura a morire. “Devono aver pensato che era cosa poco importante un murale. Devono aver pensato che si poteva fare anche a meno di chiamarmi. Anche se in questi giorni di euforia per l’arrivo del Papa li ho cercati tutti. E a lungo”. Ignorare, è questa la parola d’ordine per molti amministratori, per i politici e anche per i condomini. Con quale faccia posso guardare di nuovo la loro città, che hanno privato senza esitazioni o tentennamenti di una porzione di cultura? E la cultura, mi è sempre stato insegnato, è di TUTTI. Non certo di un gruppetto di limitate menti prive di una qualunque delicatezza e di quella particolare sensibilità che ti fa morire dentro tutte le volte che le più alte forme di creatività umana vengono violate.

Che destino potrà avere l’Isola se i suoi abitanti preferiscono un anonimo muro giallognolo alla visione di un grande artista contemporaneo? Se verremo mai ricordati, nel futuro, se mai qualcuno vorrà rivolgere il suo pensiero a noi che c’eravamo e siamo esistiti “un tempo”, sarà per le testimonianze che abbiamo lasciato. Per quello che scrivevamo, per quello che dipingevamo, per quello che componevamo. Concretamente, potremo vivere solo nel ricordo di chi verrà dopo. Distruggere le Tre Pietre di Sciola è stato un atto così squallido perché a essere distrutta è stata la memoria di un’epoca, la cultura di un’epoca. L’arte non è solo quella uscita dai pennelli e dal genio di Caravaggio, non è solo Picasso e la sua geometria, l’arte è anche quella che l’uomo produce ora, adesso, in questo tempo. I nostri artisti, quale posto occupano?

Proprio qualche settimana fa, a Perugia, durante un imballaggio è stata distrutta “L’uccisione di Priamo” del Canova. È caduta frantumandosi, letteralmente. L’opera doveva essere traslocata al palazzo Frumentario di Assisi. Invece è finita a terra in mille pezzi. E l’Italia è la terra dell’arte, il Bel Paese. A vederlo così, il Bel Paese, sembra il Regno della Noncuranza, ma soprattutto della Negligenza.

Accostare questi due avvenimenti dimostra quanto poco l’Italia meriti tutto questo, tutti i beni e patrimoni dei quali ci vantiamo. Chi dovesse dire “ma cosa sarà mai, solo due episodi isolati, non si può essere così critici”, avvallerebbe soltanto il senso di queste righe.

“No, non cambierà, non cambierà…sì, sì che cambierà, vedrai che cambierà” diceva Franco Battiato in “Povera Patria”. E sarà vero, forse qualcosa cambierà, un giorno.

Ma intanto…la primavera tarda ad arrivare.

Alice Gurrieri

Comments are closed.

Mission News Theme by Compete Themes.