Fabio Fazio è un caso limite di una Rai che, oltre a fare ascolti, riesce a fare programmi di qualità. Dai tempi di Quelli che il calcio, ogni suo prodotto è riuscito a bucare lo schermo e ad appassionare milioni di persone.
Che tempo che fa è da anni un piccolo cult della tv, funziona dal 2003 e sembra possa vivere per altri anni ancora.
Fabio Fazio piace ai telespettatori per gli ospiti che porta, che si può permettere. Per quell’aria da vecchio ragazzotto di sinistra, cresciuto a pane e cineforum, ascoltando Guccini e andando a vedere a teatro Dario Fo. Un pò borghesotto e intellettuale, che non alza mai i toni, pacato e rilassato come se il suo programma fosse una serata a cena dove si può ridere, scherzare, parlare di politica e di sociale, scambiarsi battute sulle proprie mogli o sul tempo che passa.
Proprio questo atteggiamento rilassato, che non nuoce mai, gli ha portato in dote parecchie critiche, spesso giustificate. Infatti Fazio somiglia al tipico presentatore di teatro o di musica, presenta e basta. Il resto gli gira intorno. Le interviste quasi sempre sono uno spaccato di comodità: non fa domande scomode agli intervistati, se li tiene buoni per una seconda volta (e magari una terza, e una quarta, e via seguendo). Non li incalza, non li mette in difficoltà. Sembra una cena tra due amici che parlano, condividono, fanno girare parole nell’aria. E quelle parole, talvolta e un pò di riflesso, pesano a tal punto da creare dissidi politici e scontri giornalistici. Insomma, anche senza le domande, l’attenzione rimane viva e presente.
Al di là delle critiche, l’indubbio valore di Fazio è di potersi permettere ospiti di alto livello: Monti e Marchionne spiccano tra tutti, ma sono intervenuti filosofi, scrittori, medici, ricercatori, politici, notisti, giornalisti, e la lista prosegue. E questo susseguirsi di interviste-non interviste permette alla Rai di avvalersi di un archivio storico di tutto rispetto, da riproporre nelle occasioni migliori. In un modo semplice e differente, sta riuscendo a crearsi un archivio personale, come il Minoli dei tempi migliori. Nessun paragone tra i due e tra i loro prodotti, ma certamente entrambi sanno dare alla RAI quello di cui la RAI come televisione di Stato avrebbe bisogno.
Un archivio che Fazio arricchisce talvolta con nuovi programmi, forse non innovativi, ma di interesse culturale e sociale. Pensiamo a Vieni Via Con Me, condotto insieme a Roberto Saviano. O agli speciali del lunedì sera dedicati a musicisti più o meno noti al popolo italico. Quello su Ivano Fossati, con le presenze eccellenti di Laura Pausini, Zucchero e Fiorella Mannoia, è stata l’ennesima confenzione di qualità del presentatore di Savona. Un omaggio ad un ligure come lui che, a differenza di tanti altri, ha saputo riconoscere il momento giusto per fermarsi.
Quello per Fossati è stato un riconoscimento d’autore, ricalcando quell’immagine da cena tra amici che Fazio suscita in ogni puntata delle sue trasmissioni. Come per Jannacci, la musica e i ricordi l’hanno fatta da padrone. Soprattutto la musica di valore dell’autore di pezzi d’antologia come La mia banda suona il rock, Mio fratello che guardi il mondo, C’è tempo, Cara Democrazia, Panama e La canzone popolare. Il presente però è fatto di altri sguardi, sempre romantici e un pò nostalgici, di una decadenza dei tempi che è anche sintomo della decadenza di forza e di voglia che ha investito negli ultimi tempi il celebre cantautore. Ha spiccato, sin da subito, il singolo Quello che manca al mondo, manifesto che Fossati lascia alle generazioni che seguiranno.
Fabio Fazio o lo si ama o lo si odia. Ma è indubbio che il suo apporto all’archivio della Rai sia notevole e di buona qualità. Come hanno detto in tanti, quelle proposte da Fazio sono
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