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Iowa, chi vincerà e chi perderà

Presidential-primary-2012I primi tre saranno galvanizzati, l’ultima triade comincerà a vedere l’inferno.
Sono sei i candidati del Republican Party che si fronteggeranno in Iowa, il primo Stato americano a scegliere il candidato da opporre a Obama. Il settimo, Jon Huntsman, ha abbandonato la campagna elettorale locale per concentrarsi nel prossimo Stato che andrà al voto,

lo New Hampshire.Il sestetto ha puntato molto sul Paese dell’Aquila, su cui la visibilità mediatica è massima.

Chi oggi vincerà avrà la possibilità di sfruttare al meglio il successo e convincere i prossimi elettori in base alla propria competitività.

Gli ultimi sondaggi segnalano un testa a testa tra il miliardario Mitt Romney, il libertario Ron Paul e il cattolico creazionista Rick Santorum. Nelle retrovie, Newt Gingrich, Rick Perry e Michele Bachmann.

Anticipando le testate giornalistiche di domani, provo a fare un’analisi a seconda di chi vincerà il caucus in Iowa.

La vittoria di Mitt Romney potrebbe rafforzere la sua candidatura tanto da proiettarlo verso la vittoria finale. Tuttavia, così non fu nel 2008, quando Huckabee stravinse con il 40% per poi ritirarsi due mesi dopo. Inoltre, una sua leadership oggi, significherebbe spot negativi da parte di tutti gli altri candidati, al fine di delegittimarlo e metterlo in difficoltà. Sta di fatto che Romney non ha uno staff ampio e non gode di molte simpatie all’interno dell’elettorato statunitense.

Ron Paul gode invece della migliore macchina organizzativa e la fascia elettorale tra i 18 e i 25 anni vede in lui il miglior candidato. Il numero dei tweet che riceve è quattro volte tanto quello dei suoi avversari, su Facebook pullulano i gruppi in suo sostegno e su Youtube i suoi video sono i più cliccati. Una sua vittoria sconvolgerebbe il Republican Party, gli statalisti e i militaristi: infatti, è contro l’interventismo militare e per una tassazione minima, oltreché per un ruolo non invasivo da parte del Governo Federale, al fine di dare più potere e autonomia a singoli Stati. I giornali e le tv non sono suoi alleati, ma un eccellente risultato gli garantirebbe ampia credibilità e un sempre maggior impegno verso i suoi confronti di larga fetta degli indecisi.

Rick Santorum ha posizioni particolarmente forti: è creazionista e non è conosciuto nel resto degli Stati Uniti, tanto da fargli occupare l’ultimo posto nel sondaggio nazionale. Vincendo, le sue posizioni conservatrici verrebbero prese di mira dall’area laica del partito, sebbene quest’ultima non abbia una grande forza. Potrebbe rinvigorire la cassa (non ha ricevuto grandi finanziamenti) al fine di affrontare al meglio la campagna elettorale.

L’inferno inizia ora: chi tra Gingrich, Perry e Bachmann arriverà ultimo, potrebbe dire addio alla corsa. Un risultato deludente nel primo Stato è spesso deleterio, in quanto l’elettorato non si affida a un cavallo dato perdente in partenza. Gingrich è un candidato “vecchio”, non tanto anagraficamente, ma come personaggio politico: può apparire affidabile, ma non fa innamorare: è difficile una sua ripresa, ma da non escludere.

Perry è un candidato interessante, preparato e serio. E’ stato messo in difficoltà però da alcuni suoi scivoloni tv e non gode di un adeguato staff elettorale.

Bachmann invece, la candidata militante nel Tea Party, è una donna forte, una sorta di Sarah Palin del 2012. Non è riuscita a mantenere alta l’attenzione nei suoi confronti e ha perso le simpatie dei conservatori americani.

Riassumendo, la triade vincente, e ancor di più il vincitore, se conseguirà ampi finanziamenti e un’alta copertura mediatica, potrà andare avanti nella campagna elettorale. Gli ultimi tre, se saranno abbandonati dalle tv e dai giornali, riceveranno meno donazioni, e se non sapranno rilanciare la propria figura con tematiche nuove e convincenti, potranno dire addio alla sfida con Barack Obama.

 Michele Pisano

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