Sono ormai passate più di due settimane dalla marcia degli indignados a Roma. Occasione persa, anzi bruciata, a causa degli utili idioti, dei rivoluzionari della domenica che hanno volutamente confuso la protesta pacifica contro un sistema politico-finanziario ormai al tracollo,
Ripeto, un’occasione mancata. Seguendo il modello newyorkese si era scesi in piazza per difendere tematiche lontane dalla speculazione politica; il risultato è stato degno degli anni di piombo: il potere contro il quale si marciava è stato rafforzato dall’ ignoranza e dalla stupidità dei facinorosi. Accadeva così anche nei ’70, quando i governi, dopo giornate di scontri in piazza, ritrovavano un po’ di linfa nel nome dell’ordine e della sicurezza.
Legittimo ciò che una ragazza gridò ai microfoni a fine serata: “Il nostro messaggio è caduto. Ora saremo ricordati solo per i vandalismi di pochi e nessuno vorrà più sentire le nostre ragioni”. Legittimo, ma non completamente esatto. Il guanto di sfida lanciato il 15 ottobre non è rimasto a terra. Qualcuno l’ha raccolto.
Lontano dalle piazze romane, in una piccola realtà di provincia, Terni, un negoziante sta dando scandalo, ribaltando uno status quo che per anni ha ostacolato lo sviluppo economico e sociale di città e regione.
Si fa chiamare Roberto l’indignato. Non è ternano, viene dalla Capitale ma ormai si sente parte del luogo e dei suoi problemi. Roberto è un piccolo esercente, la sua è una boutique del centro storico, ben avviata ma stretta d’assedio da un lato dalla concorrenza cinese, dall’altro dalle istituzioni locali che per quadrare i bilanci tagliano le spese per il sociale e tassano i contribuenti.
Pochi giorni orsono, mentre montava la protesta di Roberto, il Consiglio regionale a Perugia eliminava l’assegno di 480 euro destinato all’assistenza domiciliare; nel frattempo a Terni ecco una nuova ordinanza sulle affissioni, con un’altrettanto nuova imposta pronta a gravare su negozianti.
Sul locale dell’indignato compaiono di colpo dei manifesti pubblicitari, che propongono ai clienti saldi anticipati e maxi sconti. Liquidazione totale? No. Le cause sono elencate di lato e, alla promozione commerciale, si affianca la provocazione politica:
CAUSA: CRISI – POLITICHE GESTIONE CENTRO STORICO – CONCORRENZA CINESE – SPESE INSOSTENIBILI
Cosa c’è in comune con il movimento che in tutto il mondo grida a gran voce rinnovamento? Tassazione e rispetto per lavoro e sacrifici prima di tutto. Roberto è molto franco e, davanti ad un caffé, parla della difficoltà nel gestire una attività, per la carenza di strategie economiche e di svilupo da parte delle istituzioni locali. Il perno economico umbro è rappresentato da artigiani e piccola e media impresa, strozzati da tassazione alle stelle e dall’invasione nel mercato nazionale di merce di basso costo e bassa qualità, proveniente sovente da paesi che ignorano il diritto del lavoro e sfruttano manovalanza numerosa e a salario molto ridotto.
A tributi e concorrenze sleali si affianca l’idea, sottolinea Roberto, del negoziante come limone da spremere. Ride Roberto, facendoci un esempio che risulta emblematico della condizione in cui lui e i suoi colleghi sono costretti a lavorare. In ogni negozio ci sono espositori e cartelloni pubblicitari. Siccome, seppur interni al locale, sono visibili dalla strada, il Comune impone la sua ‘decima’, da affiancare alla già esistente imposta sulle affissioni.
Scherza Roberto, l’idea della ‘decima’ sul macinato lo fa divertire, ma ancora di più lo diverte il ‘polveratico’, antico tributo imposto ai viandanti. E una specie di polveratico lo paga anche lui: la tassa sull’ombra, in vigore dal 2010. Roberto ci spiega che, almeno questa alla fine, ha potuto risparmiarsela rinunciando al tendaggio. Cosa di non poco conto a pensarci bene, poiché nei giorni di pioggia o di sole battente una vetrina diventa inservibile, senza la giusta protezione.
Alla deficienza di politiche volte allo sviluppo e alla tutela di artigiani e piccoli imprenditori, si aggiungono complicazioni di accessibilità del centro storico. Niente più parcheggi liberi, solo maxi rimesse che arrivano a costare dieci euro al giorno. Immaginiamo, per un momento, di essere commessi o impiegati di negozi e uffici. Su un salario base di 800 – 1000 euro, escludendo i festivi si arriva a pagare fino a 250 euro al mese di posteggio, mezzo milione delle vecchie lire per andare a lavorare.
“Non siamo spugne” , commenta il ‘nostro’ indignato. “Lavoriamo, teniamo vivo il centro cittadino e forniamo benesse, ovvero lavoro che, in tempi come questi, certo è cosa diventata rara”.
Roberto è convinto che, dopo anni di silenzi sia ora il momento di reagire. La reazione si fonda su compattezza e unità di intenti di una categoria che ha sempre fatto il suo dovere nei confronti delle istituzioni, venendo da queste ultime poi trattata con minore riguardo di quanto non le spettasse.
Speriamo che, a differenza della manifestazione di Roma, la politica locale non entri a spinta, nel tentativo di monopolizzare la protesta del commerciante. Brutto da dire ma quando un politico allunga la mano a chi combatte per un diritto, quel diritto perde lentamente il suo valore poiché, agli occhi della gente, smette di essere qualcosa di lecito, di legittimo e assume subito una connotazione di colore, di parte. Una speranza che riguarda Roberto ma anche la città tutta, al fine che a monopolizzare centro e periferia non siano grandi holding industriali o comunità asiatiche, che si arricchiscono spesso assumendo personale non in regola, pagandolo in nero e non rispettando alcuna norma di concorrenza.
Roberto ha aperto un sito www.indignatoroberto.blogspot.com ed una pagina Facebook che vi invitiamo a visitare.
Marco Petrelli
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